“La sola persona che non può essere aiutata è la persona che getta la colpa sugli altri” – Carl Rogers
Persone spesso arrabbiate, donne che si lamentano, uomini rabbiosi, giovani provocatori, uomini e donne ansiose/i o depresse/i: quante volte li abbiamo incontrati? Oppure quante volte ci siamo identificati con questi stati d’animo?
Alcune emozioni come la preoccupazione, il risentimento, la rabbia o l’angoscia possono essere interpretate come sintomi di un malessere generato da situazioni difficili o da relazioni complicate, nel lavoro o in famiglia, che non ci fanno vedere vie d’uscita. Queste emozioni “negative” mantengono il sistema nervoso autonomo in uno stato di emergenza che, se protratto per un tempo molto lungo, può influire negativamente sull’equilibrio del nostro organismo. I disturbi psicosomatici, per esempio, sono campanelli di allarme che ci dicono che qualcosa non va per il verso giusto.
La condizione di stress non dipende solo dall’evento esterno ma soprattutto da come interpretiamo tali eventi e dal modo in cui decidiamo di reagire.
Di seguito vengono descritte le 5 reazioni agli stimoli esterni o i “5 comportamenti” dannosi per la salute perché essi generano senso di insoddisfazione e frustrazione sia in chi li riceve sia in chi li compie, determinando così relazioni poco efficaci.
1. Sentirsi giudicati o giudicare
Sentirsi giudicati ci fa sentire con poche risorse.
Si può diventare “dipendenti” dal giudizio degli altri se non abbiamo gli strumenti per mantenere il giusto distacco dalle opinioni altrui e se non possediamo le chiavi di lettura che ci aiutano a interpretare quella specifica situazione.
Ricordati: le persone quando esprimono un’opinione si basano su criteri strettamente personali!! Non farti condizionare! Chi giudica non ha interesse a conoscere l’opinione dell’interlocutore, a comprendere l’altro per quello che è realmente.
2. Essere diffidente, dubitare costantemente
Il fidanzato/a diffida della fedeltà del partner;
il genitore preoccupato diffida delle capacità dei figli;
il titolare di un’azienda diffida della capacità dei suoi collaboratori.
Chi diffida mette l’interlocutore costantemente alla prova nel dimostrare le sue capacità o il suo bene ma tali prove non saranno mai sufficienti a fargli cambiare idea. Si crea così una trappola, un circolo vizioso:
per esempio il genitore diffida della capacità del figlio di essere autonomo; il figlio vorrà dare prova della sua competenza ai genitori, ma questi smentiranno, puntualmente, tale prova. Questo comportamento susciterà nel figlio atteggiamenti di frustrazione e/o di ribellione. La relazione che ne conseguirà sarà inevitabilmente conflittuale o dipendente.
Anche la gelosia è una forma di diffidenza. Infatti Il geloso vuole sempre una prova della dedizione dell’altro, ma tali prove non saranno mai decisive e convincenti per lui. Ne consegue che il geloso metterà in pratica comportamenti che poco hanno a che fare con il sentimento d’amore: scenate, accuse, sospetti, interrogatori… creando in questo modo una relazione affettiva conflittuale.
3. Avere pretese, esigere
“sono più grande di te e pretendo obbedienza!” dice un anziano papà alla figlia ormai matura.
A pretendere possono essere i genitori nei confronti dei figli, le donne seduttive nei confronti degli uomini oppure gli uomini provocatori nei confronti delle donne, un cliente nei confronti di un commesso, un capo verso i sottoposti…
Chi pretende non riesce a “chiedere” ma vuole mettere l’interlocutore in una posizione di dipendenza e quindi di controllo e la risposta alla pretesa non basterà mai. Chi pretende chiede solo obbedienza e dipendenza e non ha interesse a conoscere le ragioni dell’altro, le sue motivazioni o i suoi sentimenti.
4. Relazioni basate sulla logica “mors tua vita mea”
I sistemi di convivenza dove prevale la logica “mors tua vita mea” sviluppano facilmente lotte di potere e conflitti. “Io devo pensare alla mia sopravvivenza!”: tale modalità di stare in relazione con l’altro è giustificata dalla convinzione che la propria sopravvivenza può essere tutelata solo a scapito dell’altro. L’altro diventa così un nemico dal quale proteggersi. Il risultato che genera è una distruzione reciproca.
5. Lamentarsi, affliggersi
Quando ci lamentiamo invadiamo l’interlocutore della nostra insoddisfazione. La lamentela è quella condizione emozionale che non ci permette di “reagire” alle situazioni, di contrattare, di giungere a compromessi con l’interlocutore. Per questi motivi chi si lamenta non cercherà soluzioni al problema ma metterà in evidenza solo l’impossibilità di trovare soluzioni.
6. Provocare, incitare, aggredire
Chi provoca preferisce l’aggressività dell’altro quale segno di “accettazione affettiva”. La provocazione manifesta la paura di non essere visti e di essere esclusi dal sistema di appartenenza. La provocazione si può manifestare in modo aggressivo oppure seduttivo.
Fermarsi e riflettere come stiamo reagendo agli stimoli esterni rappresenta un’opportunità per capire e migliorare le nostre condizioni di vita.
Quando le situazioni non vanno per il verso giusto chiediti cosa ti preoccupa, cosa ti crea ansia e cerca qualcuno con cui parlarne. Prova a cambiare strategie di fronte ai problemi quando si dimostrano inefficaci.
Bibliografia
Per approfondimenti sulla teoria che ha guidato l’autrice nell’individuazione dei comportamenti inefficaci o dannosi per la salute si può consultare:
Renzo Carli: “Psicologia clinica – introduzione alla teoria della tecnica”, UTET Editore – 1987
Renzo Carli, Rosa Maria Paniccia: “Analisi della domanda”, Il Mulino editore – 2003
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